martedì 19 novembre 2013

La definizione di antico regime
 
Con l'espressione antico regime si intende il tipo di società che caratterizzò l'Europa dal XIV al XIX secolo. Il termine fu coniato ai tempi della Rivoluzione francese con riferimenti al sistema che si intendeva abbattere (ossia la società francese nel suo insieme), caratterizzato:
-dall'autorità di un sovrano assoluto, alleato con una Chiesa intollerante;
-dai privilegi di nascita, dall'oppressione per i sudditi, schiacciati dalle imposte e, se contadini, obbligati alle servitù personali.


La storiografia ha poi esteso questa definizione all'intera Europa.
Durante l'antico regime convissero e si stratificarono istituzioni e fenomeni appartenenti ad epoche diverse: per questo è difficile periodizzarlo. La data della sua fine è dibattuta: secondo l'ipotesi tradizionale, avvenne tra Settecento ed Ottocento, in seguito alla Rivoluzione francese e a quella industriale; ma, a parere dello storico Arno J. Mayer, è tramontato del tutto solo con la prima guerra mondiale.


 Una società rurale



 L'antico regime era una società rurale: l'85 % della popolazione viveva in campagna e l'agricoltura deteneva una centralità produttiva. Il vincolo era la disponibilità di terra: non vi furono molti miglioramenti nella produttività del lavoro, che restò molto bassa. Il modo per aumentare le risorse a disposizione della popolazione fu di ampliare la superficie coltivata. Per soddisfare le esigenze primarie di dieci persone era necessario il lavoro di sette o otto uomini. Ciò comportava una forte concentrazione della forza da lavoro nell'agricoltura, dove operava il 65/90 % della popolazione. La scarsa produttività del lavoro consentiva a una limitata quota della popolazione di vivere del lavoro altrui. Nella società d'antico regime la dimensione dell'industria era rappresentata dalle bottega artigiana o dal lavoro a domicilio: un mercante forniva la materia prima e poi ritirava i manufatti. Il peso del settore industriale era marginale: nel complesso di può affermare che le manifatture furono campo d'azione di artigiani e di mercanti. Queste imprese erano controllate o direttamente dagli stati o da finanzieri che spesso avevano acquistato le loro fortune nel commercio a grande distanza.
Come si è già detto l'85% della popolazione abitava in campagna, ciononostante l'Europa occidentale era l'area più urbanizzata del mondo. I villaggi di campagna erano esclusi dalle innovazioni economiche e sociali, e vengono definiti dagli studiosi con il termine "immobili". L'immobilità era causata soprattutto dall'isolamento in cui si svolgeva la vita dei villaggi rurali.
I mezzi di trasporto erano lenti e rendevano le enormi




distanze difficili da colmare. Le comunicazione commerciali erano dunque inadeguate e risultava poco conveniente vendere o acquistare merci da lontano dalla propria comunità. La loro economia era quindi basata sull'autoconsumo e il baratto.
Le città ospitavano una percentuale minima della popolazione. tuttavia, proprio al loro interno, si trovavano i centri di controllo di tutte le più importanti funzioni politiche, economiche, culturali e militari. Nei centri urbani maturarono, quindi, le innovazioni economiche e sociali che avrebbero segnato il passaggio all'età contemporanea. Nelle città restò comunque segnato il divario che separava il ricco dal povero, le disuguaglianze e i privilegi che costituivano l'essenza della società 
dell'antico regime.

La stabilità demografica

Tra il 1300 ed il 1700 la popolazione europea aumentò solo del 30%. Le cause di questa stabilità demografica furono:
-l'alternarsi di fasi di crescita e di crisi: l'aumento della popolazione venne contrastato ciclicamente da grandi catastrofi demografiche determinate da guerre, carestie ed epidemie;
-il matrimonio tardivo (20/25 anni per le donne e 25/29 per gli uomini) che riduceva il periodo dell'unione feconda e quindi il numero delle nascite. 


Le gerarchie sociali
 
Nell'antico regime leggi e diritti non erano uguali per tutti I diritti, infatti, non erano concepiti come proprio di ogni persona, ma come privilegi di nascita o elargiti dalle autorità. La società, dunque, non era divisa in classi (individui che condividono una medesima situazione economica), ma in ordini (detti anche ceti o stati, formati da individui che per nascita godono degli stessi diritti). In teoria la disuguaglianza fra gli ordini corrispondeva alle diverse funzioni sociali:



  • il clero (amministrava il culto divino);
  • la nobiltà (garantiva la difesa);
  • il Terzo stato (doveva lavorare per tutta la comunità); 
 La nobiltà deteneva il primato sociale. La sua potenza era fondata sul controllo della terra. Al nobile era vietato lavorare e commerciare: doveva vivere delle rendite fondiarie, senza curarsi del denaro. Ciò portò molti nobili alla rovina. I nobili caduti in miseria continuavano a godere dei privilegi, ma il potere era di fatto nelle mani dell'elitè  che disponeva di grandi ricchezze. Ciò valeva anche per il clero, tutt'altro che ricco.
La borghesia doveva la sua fortuna agli affari e alle professioni liberali. I suoi ideali erano legati allo spirito di profitto: imprenditorialità, dedizione professionale e attenzione nella gestione del patrimonio. Dall'XI secolo si realizzò l'ascesa di questa classe sociale, in virtù della sua crescente ricchezza. Ma il primato sociale rimase alla nobiltà, tanto che i borghesi cercavano di accedere all'ordine nobiliare acquistando titoli e feudi.

 La centralità dell'agricoltura


Durante l'antico regime l'85% della popolazione viveva in campagna e l'agricoltura occupava il 65-90% della popolazione.
La produttività era bassa: l'unico modo per aumentare la produzione era ampliare la superficie coltivata. Per questo motivo pochi potevano vivere del lavoro altrui: anche vecchi, bambini e donne dovevano lavorare duramente.

La marginalità degli altri settori
Il peso dell'industria era marginale. Prevalentemente era rappresentata dalla bottega artigiana o dal lavoro a domicilio. Le grandi imprese erano poche, ed erano controllate dallo Stato o da finanzieri che spesso avevano acquisito le loro fortune nel commercio  grande distanza. Proprio in questi settori, però, andava formandosi l'economia moderna.


Lo Stato assoluto

Nei secoli XII-XV il potere del sovrano non era illimitato. Esisteva un ideale contratto tra gli ordini e il re: i primi accettavano di sottomettersi all'autorità regia e questa si faceva garante dei loro privilegi, e ne garantiva il rispetto. Il re non poteva governare senza il consenso dei sudditi. Dopo la guerra dei trent'anni (1618-1648) si affermò invece la monarchia assoluta, tipica dell'antico regime. Il sovrano rifiutò il semplice ruolo di garante dei diritti dei ceti e pretese di non essere più subordinato alla legge, ma di crearla lui stesso. I sudditi, a fronte di ciò, non avevano alcun diritto ma solo doveri.

L'assolutismo come progetto


L'assolutismo di antico regime non poté realizzarsi concretamente come un potere totale: mancavano le tecnologie che avrebbero garantito al sovrano un efficace e completo controllo sul territorio e sulla società. L'assolutismo fu quindi più un progetto teorico che non un fatto reale. Va ricordato inoltre che la tradizione era un valore imprescindibile, e che si preferiva dunque far convivere il nuovo con il vecchio piuttosto che abolire definitivamente, un mosaico di entità diverse, in cui il potere centrale risultava inefficiente e privo di effettivo controllo.

L'alleanza tra trono e altare

Ai tempi delle Riforma protestante e delle guerre di religione le Chiese si erano appoggiate al potere temporale per tutelare la propria autorità. Contemporaneamente il sovrano aveva assunto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche, ritenute uno strumento indispensabile di governo. Il re (sia cattolico che protestante) si presentava come protettore della vera fede, e il popolo riteneva il suo potere di origine divina.
L'identificazione Chiesa-Stato costituiva la radice dell'intolleranza. Per di più, si pensava che la libertà di fede avrebbe portato all'ingovernabilità, in quanto un suddito di diverso credo avrebbe rifiutato l'autorità regia.

La concezione dello Stato


Lo Stato era concepito come proprietà del sovrano, perciò il re poteva disporne come qualsiasi altro bene e alla sua morte era trasmesso in eredità. La Rivoluzione francese contrasterà questa concezione patrimoniale e dinastica, affermando che la sovranità deriva dal basso, cioè dall'insieme di individui che formano la Nazione, e non dall'alto, cioè da Dio.


RIVOLUZIONE INGLESE

La resistenza all'assolutismo

Gli stuart tentarono di imporre una monarchia assoluta in Inghilterra, trovando diversi tipi di opposizione:
-religiosa: sempre più sudditi rifiutavano la chiesa anglicana;
-politico-giuridica: il Parlamento con la Petizione dei diritti del 1628 si oppose alle proteste assolutistiche di Carlo I;
-economica: i ceti produttivi chiedevano che la Corona cessasse di intromettere la vita economica. Si creò così un conflitto fra la nazione, che esigeva di partecipare alla gestione dello stato, e il sovrano, appoggiato da una parte della nobiltà.


La guerra civile e la repubblica

In seguito al rifiuto di Carlo primo di rinunciare al potere assoluto, l'Inghilterra precipitò nella guerra civile. Il Parlamento ebbe la meglio: Carlo I fu condannato a morte e fu instaurata la repubblica sotto la guida di Oliver Cromwell. Il paese però era diviso in fazioni: di fronte al pericolo dell'anarchia Cromwell assunse un potere dittatoriale.


Il ritorno della monarchia

Dopo la sua morte il Parlamento consentì il ritorno della monarchia, ma, quando con Giacomo II si profilò il rischio di una dinastia cattolica, offrì la corona al protestante Guglielmo d'Orange. Gli orientamenti del Parlamento si raccolsero per la prima volta nella storia europea in due partiti
-i whigs (i filoparlamentari) ;
-i tories (difensori delle prerogative regie).

La Gloriosa Rivoluzione
Nel 688 il Parlamento cacciò Giacomo II con un colpo di Stato incruento (Gloriosa Rivoluzione). Si afferma l'idea del contrattualismo del filosofo John Locke, secondo il quale la legittimità del potere deriva da un accordo tra Parlamento (cioè i sudditi) e Corona, che prevede il riconoscimento reciproco di diritti e doveri, la libertà politica e religiosa e la certezza del diritto.Con la monarchia costituzionale i poteri del sovrano sono limitati da un patto, essa cessa di essere un'istituzione al di sopra dello Stato e diventa un organo dello Stato. La monarchia parlamentare è, invece, l'evoluzione della monarchia costituzionale. Il governo è responsabile nei confronti del Parlamento e non più del sovrano. 

LA FRANCIA DEL RE SOLE


Luigi XIV, il re Sole

Fino al 1661 la Francia fu retta dall'abile cardinale Mazarino. Alla morte di quest'ultimo, Luigi XIV non nominò un primo ministro ma volle tenere il potere nelle proprie mani. Credeva all'origine divina del potere monarchico e scelse per sé l'emblema del Solesimbolo di potenza e centralità.Costruì uno Stato assoluto, identificando nella sua persona, che in seguito fu preso a modello dagli altri sovrani europei. Alla sua morte, nel 1715, il popolo festeggiò la fine del suo lungo ed oppressivo regno.



La monarchia assoluta accentra tutto il potere nelle mani del sovrano, che a suo arbitrio controlla organi e funzionari e convoca le assemblee rappresentative. Il re è vincolato solo dal rispetto dell'ortodossia religiosa e delle norme di successione al trono.
La centralizzazione del potere

Luigi XIV si proponeva obbiettivi politici:

  • rafforzare lo Stato eliminando le resistenze sociali,
  • rafforzare il proprio potere personale assumendo il controllo di tutta la macchina statale.  

Luigi XIV prese nuove misure anche verso i Parlamenti abolendo il diritto di rimostranza, cioè la facoltà di opporsi alle decisioni del re. L'opera di subornazione della grande nobiltà costituì il successo più evidente del re Sole. Il re Sole istituì un'efficace sistema di consigli, con competenze delimitate, che facevano capo a un Consiglio supremo di Stato costituito dal re e da tre ministri: affari segreti, interni e finanze. 



La politica



La politica fiscale e quella economica furono affidate a Jean-Baptiste Colbert, il quale: 

  • risanò il sistema fiscale e amministrativo, caratterizzato da abusi e inefficienza. Le entrate della corona aumentarono;

  • applicò la politica mercantilista, che prevede l'intervento statale a tutela della produzione interna con incentivi alle esportazioni e per limitare le importazioni.  

 Egli riformò l'esercito ed eresse fortificazioni lungo le frontiere. Puntava all'egemonia in Europa: durante il suo regno la Francia fu quasi costantemente in guerra.

Con la politica culturale cercò il controllo delle coscienze.

Il dissenso fu represso con la censura, e la cultura ufficiale produsse grandi opere celebrative della sua figura. Il re concepì la religione come uno strumento di governo: cercò di controllare il clero francese (gallicanesimo), scontrandosi con il papato. Inoltre combatté il dissenso religioso, perseguitando giansenisti e ugonotti, che rivendicavano la libertà di coscienza. 


La Russia e Pietro il Grande


La Russia era rimasta  isolata dai grandi cambiamenti sociali e culturali dell'Europa occidentale.  Lo zar Pietro I il Grande, al potere dal 1689, cercò di occidentalizzarla: voleva edificare uno Stato assoluto, sottomettendo la nobiltà e tutte le istituzioni che, come la Chiesa ortodossa, si opponevano alle riforme. Pietro riuscì ad avviare la modernizzazione della Russia che restò tuttavia un paese economicamente e socialmente arretrato.
La Prussia e Federico Guglielmo
La Prussia, un regno affermatosi nel corso del Seicento, era frammentata e arretrata. Federico Guglielmo I (1713-1740) la rinnovò, portandola tra le grandi potenze europee. Alla fine del suo regno, la Prussia poteva disporre di un'esercito guidato da un corpo di ufficiali preparati e fedeli. Alla sua morte, lasciò al figlio Federico II (1740-1786) uno Stato pronto a espandersi e a inserirsi  a pieno titolo nelle contese delle grandi potenze europee. 

Gli aspetti comuni
Lo sviluppo di Russia e Prussia tra Sei e Settecento presenta alcuni aspetti comuni:
i sovrani riformarono lo Stato puntando all’assolutismo anche a traverso la creazione di una burocrazia statale stabile. L’apparato militare ebbe grande rilevanza: in Prussia l’esercito costituì la base della espansione del paese;
dal punto di vista sociale si cercò di sottoporre la nobiltà alla Corona, inserendola nei ranghi dell’amministrazione statale. In Russia fu forte la spinta verso l’occidentalizzazione negli usi e della cultura.


Tuttavia, in entrambi i casi, le riforme vennero imposte dall’alto a una società contadina, in cui dominava il latifondo e mancava la borghesia imprenditoriale e produttiva.

Guerre territoriali

Tra il 1667 e il 1763 l’Europa fu quasi sempre in guerre. Non si trattava più di guerre de religione, che erano terminate con la pace di Westfalia, ma di combattute per il possesso di nuovi territori e per stabilire un nuovo equilibrio tra gli Stati. Spesso si trattò di guerre di successione: le dinastie europee erano tutte imparentate, e un trono vacante per essenza di eredi diretti poteva essere rivendicato da molti.
Merita ricordare la guerra dei Sette anni (1756-1763) che in un certo senso fu la prima guerra mondiale della storia. Si combatté, infatti, in Europa, India e America.

La Francia

La politica espansionista di Luigi XIV fu all’origine del secolo di guerra. Approfittando della debolezza di Inghilterra (alle prese con la crisi interna) e Austria ( pressata dai Turchi), la Francia riuscì a compiere una serie di annessioni. A partire dagli anni Ottanta del Seicento, però, la coalizione antifrancese fu in grado di contrastare il re Sole, che fu messo in gravi difficoltà con la guerre di successione spagnola (1701-1713). Le pretese di supremazia della Francia furono così sconfitte.

L'area italiana e quella iberica

La Spagna, estintasi la dinastia degli Asburgo, passò in mano a un ramo dei Borboni, ma perse parte del suo impero coloniale.
Nel 1713 la denominazione spagnola in Italia ebbe fine. La pace di Aquisgrana (1748), con cui finì la guerre di successione austriaca, segnò l’inizio della dominazione austriaca e borbonica. Il paese, a eccezione del Regno di Sardegna (in mano ai Savoia), era debole frammentato.
Per quanto riguarda i traffici commerciali, che ormai si sviluppavano a livello mondiale, i grandi sconfitti, rispetto ai secoli precedenti, furono gli Stati iberici e l’Italia.

L'Impero ottomano

Nel 1683 l’esercito turco giunse ad assediare Vienna, ma fu costretto a ritirarsi. Iniziò così il declino dell’Impero ottomano, che in seguito venne più volte sconfitto dalle potenze europee, soprattutto dall’Austria.

Prussia e Russia

La Russia ottenne una “finestra sul Baltico” sconfiggendola Svezia e si inserì saldamente nella vita economica e politica dell’Occidente.
La Prussia si rafforzò notevolmente a danno della Svezia, della Polonia e dell’Austria. Questo Stato, destinato a una straordinaria ascesa che culminò nel 1871 con l’unificazione della Germania, era governato dallo spregiudicato Federico II il Grande. Questi approfittò della crisi dinastica in Austria per occupare la Slesia e della debolezza della Polonia per spartirsi il suo territorio con Austria e Russia. Alla fine del Settecento la Polonia sparì dalla cartina europea.

L'Inghilterra

L’Olanda lasciò il primato marittimo all’Inghilterra che, alla fine del secolo delle guerre, si presentava come la maggiore potenza coloniale e commerciale, arbitra dei nuovi equilibri.
http://www.treccani.it/enciclopedia/rivoluzione-francese_%28Enciclopedia-Italiana%29/
Una pagina in rosa. Le imperatrici
http://cisadu2.let.uniroma1.it/ronchetti/matmultimedia/ipertesto/tre.htm

La pena di morte venne abolita in Toscana con il Codice leopoldino il 30 novembre del 1786. Era la prima volta in Europa che veniva stabilita dalla legge la totale abolizione della pena capitale per qualsiasi tipo di reato. Questa norma, in realtà, codificava una prassi già consolidata, in quanto fin dal 1775 non erano state eseguite condanne capitali a Firenze, mentre, ancora nella metà del Settecento, a Parigi si poteva assistere alla tortura e allo squartamento pubblico dei colpevoli nelle piazze.
Il testo dell’articolo relativo alla pena capitale del Codice si inspirava senza dubbio agli insegnamenti di Cesare Beccaria e al suo famoso libro Dei delitti e delle pene, uscito in Toscana nel 1764, che invocava la necessità di proporzionare la pena al delitto e denunciava la durezza e gli eccessi del diritto penale, in particolare della pena di morte. La pena di morte venne sostituita, con più “efficacia e moderazione insieme”, con i lavori forzati a vita. L’abolizione totale della pena di morte, però, durò solo quattro anni: nel 1790 lo stesso Pietro Leopoldo la ripristinò – sull’onda dei primi fatti della Rivoluzione francese - “per tutti coloro che ardiscano d’infiammare, di sollevare e mettersi alla testa del popolo per opporsi con pubblica violenza alle provvide disposizioni del Governo”. Nel 1795 il nuovo granduca Ferdinando III ne ordinò il ripristino anche per i delitti di lesa maestà, per quelli particolarmente gravi contro la religione e per gli omicidi premeditati. Dopo l’annessione alla Francia (decretata il 3 marzo 1809), in Toscana trovarono applicazioni le leggi e i codici francesi, fra cui il Code Pénal, che prevedeva la pena di morte.
Dopo la Restaurazione lorenese, il 26 giugno del 1816, fu pubblicata la Legge contro i delitti di furti violenti che confermava la pena capitale, da eseguirsi tramite il “taglio della testa”, in quanto pratica “riconosciuta fisicamente meno dolorosa”. Tuttavia ad essa si fece ricorso raramente, sia perché i giudici non la pronunciavano, sia perché la grazia sovrana intervenne spesso per commutarla nei lavori forzati a vita. In Toscana in quegli anni si aprì un interessante dibattito sul tema, al quale diede molto spazio anche la rivista del Visseux, “Antologia”.
Uno dei primi atti del Governo provvisorio nato dopo la cacciata dei Lorena nell’aprile del 1859, di cui fecero parte personaggi come Ricasoli, Ridolfi e Lambruschini fu proprio l’abolizione della pena di morte. Anche dopo l’Unità, per l’opposizione dei deputati toscani, il Codice Penale Sardo, che prevedeva la pena di morte, non fu adottato in Toscana, a differenza delle altre parti del Regno. Questo doppio regime di codici penali durò fino al 1889 (anno del Codice Zanardelli).







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